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Flexicurity – flessibilità e sicurezza

Posti di lavoro sicuri e fissi oppure flessibili e meno sicuri? Che cosa ne risponderebbero i lavoratori? Ma le aziende? Di fronte ad un elevatissimo costo di lavoro, gli imprenditori, secondo varie ricerche in materia (OECD, 1994; OECD, 1997b; Andersen and Halvorsen, 2002:107; Auer and Cazes, 2003a:2), preferiscono un aumento della flessibilità del mercato del lavoro. Questi studi ci indicano che c’è una crescente richiesta di deregulation del mercato del lavoro spinta principalmente dai bisogni delle aziende di ridurre le spese circa il costo del lavoro. Deregulation, da un lato, ed equity,intesa come misure di protezione adequate dei lavoratori, dall’altro. La protezione del lavoro è vista come “positively underpinning economic and employment growth” (Auer and Cazes, 2003a:2), non potendo giocare un ruolo importante nel creare nuovi posti di lavoro nel mercato Europeo a paragone del mercato Americano o Anglo-Sassone (Scarpetta, 1996; Pissarides, 2001; Bonoli and Sarfati,  2002:468; Esping-Andersen, 2001). Tuttavia, a parte la deregulation sembri di creare nuovi posti di lavoro, certi autori sostengono  che questi crei soltanto “socially unacceptable jobs” (Bonoli and Sarfati, 2002:470) e serve come un reale pericolo per i lavoratori e per il loro standard di vita (Auer and Cazes, 2003a:2).

Nel 1993 con il “White Paper on Growth, Competitiveness and Employment” formulato esplicitamente nel 1997 nel “Green Paper – Partnership for a New Organisation of Work”, la Commissione Europea ci proppone un nuovo modello: posti di lavoro sicuri e flessibili.

A seguito del detto libro verde, paesi come Finlandia hanno risposto positivamente, ma in Francia e Germania la voce delle unioni sindacali hanno argomentato che l’idea di un parteneriato rappresenta una minaccia all’indipendenza dei sindacati e un disconoscimento dell’importanza dei diritti dei lavoratori, specialmente a livello di impresa (Korver, 2001:6-8).

Abbiamo detto posti di lavoro sicuri e flessibili. Ma cosa si intende per flessibilità e sicurezza? La flessibilità va intesa come “abilità di cambiamento secondo le circostanze” (Standing, 1999: 49) e si “misura” in base all’uso dei contratti di lavoro part-time e a tempo determinato e in base alla mobilità dei lavoratori. I lavoratori si debbano muovere con facilità nel mercato del lavoro, continuando costantemente di perfezionarsi le proprie capacità. Ma non solo. Anche le aziende devono diventare più flessibili per rispondere alla flutuazione della domanda e offerta dei beni e servizi, nonchè sulla crescente domanda di qualità del lavoro. (European Employment Taskforce, 2003). Questo permeterebbe la creazione, nel mercato di lavoro europeo, di un numero di posti di lavoro sempre crescente. La flessibilità si presenta sotto due aspetti: funzionale e numerica. La flessibilità funzionale fa riferimento al cambiamento del sistema produttivo o della tecnologia, mentre la flesssibilità numerica va intesa come variazione del numero dei lavoratori. Come supporto per una politica di flessibilità, i lavoratori hanno bisogno di sicurezza. Stiamo parlando di sicurezza sociale, e cioè, tutt’una serie di politiche mirate, convergenti verso la tutela del lavoratore: uno stipendio decente, accesso alla formazione, condizioni di lavoro, protezione contro la discriminazione, protezione contro licenziamento ingiusto, supporto in caso di perdita del posto del lavoro, supporto nel caso di cambiamento del posto di lavoro.

Questo nesso tra flessibilità e sicurezza lo incontriamo nei numerosi summit europei quali Essen 1994, Firenze 1996, Amsterdam 1997, Lussemburgo 1997, Lisbona 2000, diventando una provocazione per il Modello Sociale Europeo (Klosse, 2003). Secondo l’UE l’unione tra flessibilità e sicurezza farà diventare l’economia europea “the most competitive and dynamic knowledge-based economy in the world, capable of sustainable economic growth with more and better jobs and greater social cohesion”.

Tendendo verso una definizione del concetto di flexicurity, direi:

una politica mirata a facilitare e adattare sia i lavoratori che le aziende al mutamento ossia al cambiamento del mercato di lavoro, tenendo conto dei bisogni di sicurezza sociale dei primi, al fine di incrementare la qualità del lavoro, l’iclusione sociale degli stessi e di creare un mercato produttivo e concorrenziale.

Il concetto di flessibilità e sicurezza continua ad evolversi e vi è manifestamente presente nel European Employment Strategy del 2001, ove la Commissione invita le parti sociali “to negotiate and implement at all apropriate levels agreements to modernise the organisation of work, including flexible working arrangements, with the aim of making undertakings productive and competitive, achieving the required balance between flexibility and security, and increasing the quality of jobs”. E recita ancora: “Member States will facilitate the adaptability of workers and firms to change, taking account of the need for both flexibility and security and emphasising the key role of the social partners in this respect. Member States will review and, where appropriate, reform overly restrictive elements in employment legislation that affect labour market dynamics and the employment of those groups facing difficult access to the labour market, develop social dialogue, foster corporate social responsibility, and undertake other appropriate measures to promote:

– diversity of contractual and working arrangements, including arrangements on working time, favouring career progression, a better balance between work and private life and between flexibility and security,

– access for workers, in particular for low skill workers, to training (…)”

Sul concetto di flexicurity si è parlato molto. Dalla “politica convergente verso una regolamentazione del mercato di lavoro precario” (Fagan and Ward, 2000), all’ “interesse di flessibilizzare il mercato di lavoro da parte di certi gruppi d’interesse” (Fahlbeck, 1998), al  legame alla politica europea di libera circolazione delle persone (Schmid and Gazier, 2002) e dei lavoratori, alla quale fanno capo numerosi atti normativi di origine comunitaria (Direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati Membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità Direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati Membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, nonchè le direttive sul riconoscimento professionale).

Sul concetto di flexicurity si è fatto ancora tanto. Basti pensare che, per la prima volta, tale politica fu implementata nella legislazione olandese nel 1990 per fatto della riforma del mercato del lavoro, seguito poi dalla Danimarca. L’esperienza di questi due paesi ci insegna che la flexicurity va a braccio con la deregulation del mercato del lavoro.  La decentralizzazione fa il suo effetto benefico sulla flexicurity. Tuttavia, in entrambi i paesi questo processo è stato accompagnato da una buona performance economica e da una crescita della partecipazione al mercato del lavoro. Per quanto riguarda la situzione nei altri paesi europei, il concetto di flexicurity dovrà affrontare ancora tante barriere avendo di fronte ad un mercato di lavoro diversificato e dinamico che sorge da tradizioni culturali e politiche sociali ben diverse. Tutto questo non vuol dire che ciascun paese non abbia specifiche forme e misture tra flessibilità e securità all’interno delle proprie legislazioni nazionali. Già nel 2000, la Commissione Europea sottolineato nel “Otherview on industrial relation in Europe” che “tutti gli stati membri hanno cercato di migliorare la flessibilità del mercato del lavoro attraverso politiche attive di occupazione”. E secondo Ozaki (1999:116) in uno studio comparatistico: “the flexibilisation of the labour market has led to a significant erosion of workers’ rights in fundamentally important areas which concern their employment and income security and the (relative) stability of their working and living conditions”.

Bibliografia

Andersen, J. G. & Halvorsen, K. (2002) “Changing labour markets, unemployment and unemployment policies in a citizenship prospective.” In Andersen, J. G. et al (eds) (2002) Europe’s New State of Welfare: Unemployment, employment policies and citizenship. Policy Press, Bristol, UK

Auer, P. & Cazes, S. (2003a) “Introduction” in Auer, P. & Cazes, S. (eds.) (2003) Employment Stability in an Age of Flexibility: Evidence from industrialized countries. ILO, Geneva. pp.1~21.

Bonoli, G. & Safarti, H. (2002) “Conclusions: the Policy Implications of a Changing Labour Market- Social Protection Relationship” in Bonoli, G & Safarti, H. (eds) Labour 40 Market and Social Protection Reforms in International Perspective: Parallel or converging tracks? Ashgate Publishing Limited, Aldershot. pp.451~486.

Esping-Andersen, G. (2001) “Who is Harmed by Labour Market Regulations?” in Esping-Andersen, G. & Regini, M. (eds.) Why Deregulate Labour Markets? Oxford University Press, Oxford.

European Commission (2000). Industrial Relations in Europe 2000. Luxembourg, European Commission.

Fagan, C., and G. Ward (forthcoming), ‘Regulatory convergence? Non-standard work in the UK and the Netherlands’ in S. Houseman and M. Osawa (eds.) Non-standard work in the US, Europe and Japan. Michigan: W.E.UpJohn Institute.

Fahlbeck, R. (1998), ‘Flexibility: Potentials and Challenges for Labour Law’, Comparative Labor Law & Policy Journal, Vol. 19, no. 4, 515-546.

Klosse, S., “Flexibility and Security: A Feasible Combination?”, European Journal for Social Security, 5, 3, 191-213.

Korver, A. (2001), ‘Rekindling Adaptability’. Amsterdam: EFSQ: Working Papers on Social Quality

Ozaki, M., ed. (1999). Negotiating flexibility. The role of the social partners and the State. Geneva, ILO.

Pissarides, C. A. (2001) “Employment Protection” Labour Economics (8), pp.131~159.

Scarpetta, S. (1996) “Assessing the Role of Labour Market Policies and Institutional Settings on Unemployment: A Cross-Country Study”, OECD Economic Studies, No. 26. pp.43~98. Paris.

Schmid, G. and B. Gazier (eds.), (2002), The Dynamics of Full Employment: Social Integration Through Transitional Labour Markets. Cheltenham, UK and Brookfield.

Standing, G. (1999) Global Labour Flexibility: Seeking Distributive Justice. Macmillan Press LTD,London.

Wilthagen, T. and F. Tros (2004). “The concept of ‘flexicurity’: A new approach to regulating employment and labour markets.” Transfer 10(2): 166-186.

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